Arte Contemporanea Fotografia

Le maschere della femminilità in Cindy Sherman, e oltre

Cindy Sherman, artista postmoderna, usa autoritratti per giocare con gli stereotipi culturali.

L’artista americana Cindy Sherman (New Jersey, 1954) interpreta la femminilità come una maschera. Sin da piccola, giocava a travestirsi con gli abiti trovati in casa. I suoi lavori fotografici non sono propriamente autoritratti, in quanto l’artista si nasconde dietro maschere sempre diverse. Il suo obiettivo è di svelarci i meccanismi dietro la costruzione di una fotografia e di commentare gli stereotipi culturali femminili proposti dai media del tempo. Si può tracciare un paragone con l’attuale scena femminile dell’hip hop statunitense, la quale offre dei potenti spunti visivi di ribaltamento dei punti di vista maschili.

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Cindy Sherman, Untitled Film Still #21,1978. Courtesy MOMA e Cindy Sherman.

Cindy Sherman e la “Pictures Generation”

Cindy Sherman viene comunemente associata al gruppo della “Pictures Generation”1. Questo gruppo nasce in America nei tardi anni ‘70 e primi anni ‘80 come reazione al consumismo di massa e al panorama sociale e culturale di quegli anni fortemente invaso dalle immagini in movimento e della pubblicità. 

La mostra curata dal critico Douglas Crimp all’Artist’s Space di New York del 19772, intitolata “Pictures”, è considerata seminale nella storia del gruppo.

Gli artisti della Pictures Generation trovano comun denominatore nei mezzi artistici utilizzati: dalla fotografia al video, al film, fino alla performance. Rivisitano e manipolano per lo più immagini provenienti dalla culturale popolare di massa (pubblicità, film e riviste). L’appropriazione e la decontestualizzazione vengono attuate con finalità umoristiche e critiche, creando un cortocircuito tra opera d’arte e prodotto mediale, tra riproduzione e originale.

Le infinite nuove rappresentazioni (“re-presentations”)3 di immagini già in circolo, rendono verità alla frase pronunciata da Crimp nel catalogo della mostra del 1977:

Douglas Crimp

“(…) Underneath each picture there is always another picture (…)”.

Il contesto storico-culturale di Cindy Sherman: il postmodernismo

Le opere di Sherman sono figlie di un contesto storico-culturale ben preciso, quello del postmodernismo. Quest’ultimo è stato analizzato dallo storico marxista Fredric Jameson4 soprattutto alla luce del concetto di pastiche (inteso come “imitazione”). Sherman si inserisce perfettamente in questo solco, riciclando reference visive in maniera libera ed aspecifica.

Gli inizi di Sherman: “Untitled Film Stills” (1977-1980)

Tra i primi lavori dell’artista si può trovare una serie intitolata “Untitled Film Stills”. Il titolo fa subito venire in mente delle immagini estrapolate da film. Guardando più attentamente, ci accorgiamo che si tratta di scene scrupolosamente costruite.

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L’artista sembra imitare Brigitte Bardot. Cindy Sherman, Untitled Film Still #13, 1978.
Courtesy dell’artista e Metro Pictures, New York, © 2020 Cindy Sherman.

In questa serie di settanta scatti in bianco e nero, Sherman è sempre presente come protagonista. Tuttavia, si trasforma in una grande varietà di figure femminili stereotipate, ispirandosi in maniera libera ai film hollywoodiani degli anni ‘30-’50 ed ai B-movies.

Il male gaze

La pratica di appropriazione artistica di Sherman è stata letta alla luce del saggio “Cinema e piacere visivo” (1973), scritto dalla teorica femminista del cinema Laura Mulvey. Secondo Mulvey, i film tradizionali di Hollywood5 propongono rappresentazioni femminili passive e sessualizzate col solo scopo di compiacere lo sguardo del pubblico maschile6. La teorica coniò la formula del male gaze per spiegare il funzionamento della visione e della rappresentazione delle donne nel cinema. In questo contesto cinematografico, i corpi femminili sono stati architettati come uno “spettacolo” per lo sguardo eterosessuale e maschile.

Gif estratta dal film “Rear Window” di Alfred Hitchcock. Courtesy di Coolidge Corner Theatre.

Ribaltamento del male gaze

Andando oltre un primo stadio, si nota come Sherman non si stia più semplicemente sottomettendo allo sguardo maschile. Tutt’altro, l’artista riprende il controllo dello sguardo e lo rivolge su di sé in quanto soggetto attivo. Si riappropria delle diverse sfumature di personalità del mondo femminile tramite il mezzo fotografico, il lavoro di styling e make-up e la scelta delle ambientazioni e delle pose. 

“Centerfolds/Horizontals” (1981) di Cindy Sherman

Negli anni ‘80, Artforum commissiona a Sherman un lavoro fotografico. Tuttavia, una volta venuto a conoscenza del tema prescelto da Sherman, l’editore della rivista le ritirò la commissione.

Ad ogni modo, Sherman decise di portare avanti questo lavoro in maniera autonoma. Da qui nascerà una serie di 12 fotografie a colori di grandi dimensioni. L’artista sperimenta con un altro format: la rivista pornografica. 

Rispetto ai personaggi femminili dei “Film Stills”, qui le adolescenti incarnate da Sherman si avvicinano molto di più all’osservatore, facendolo sentire a disagio. Il colore saturato accresce l’aura di drama intorno alle foto stesse. 

Il formato scelto rimanda sia al campo cinematografico – per la visione più “fisica” e immersiva che implica – sia alle immagini stampate a doppia pagina sulle riviste pornografiche.

Le donne sono quasi sempre in posizione supina, ingrandite e compresse nel frame fotografico. Appaiono in stati emotivi estremi: a volte sono terrorizzate, altre volte melanconiche. La serie instilla in chi guarda un mix di effetti seduttivi e di estrema angoscia. 

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Cindy Sherman, Untitled #92,1981. Courtesy MOMA e Cindy Sherman.

“History Portraits” (1989-1990)

Dopo l’intermezzo degli anni ‘80 e ‘90, quando Sherman sperimenta più con l’assemblaggio di oggetti evocanti immagini macabre ed abiette, l’artista torna a ritrarre se stessa. 

Nella serie “History Portraits” imita dei quadri della storia dell’arte. Alle volte, i riferimenti visivi appaiono chiaramente, come quando si cala nelle vesti di un artista uomo come Caravaggio, il quale si era a sua volta autoritratto come il dio Bacco. Altre volte, il riferimento rimane generico. L’importante per Sherman è che emerga il rapporto di assoggettamento instaurato tra ritrattista (solitamente uomo) e modella.

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Cindy Sherman, Untitled #224,1990. Courtesy MOMA e Cindy Sherman.

Rispetto alle serie precedenti, Sherman svela in maniera più esplicita l’artificio del mezzo fotografico. Le scenografie e le truccature sono realizzate con molta attenzione, quasi fosse una pittrice.

Riappropriazione femminista della fotografia di Cindy Sherman

Tramite il mezzo fotografico, Sherman risponde al tema della rappresentazione delle donne nella cultura visiva occidentale. Nella serie tv della BBC “Ways of Seeing”, il critico d’arte inglese John Berger (la sua importanza per lo studio della cultura visiva è già stato analizzato nel seguente articolo) spiega come esista una differenza di visione e di apparenza maschile e femminile:

John Berger

(…) Men look at women. Women watch themselves being looked at. (…). (…) Women are there to feed an apetite, not to have any of their own”. (…).

Fin da quando sono giovani, la società inculca nelle donne l’idea che il loro successo dipenda dall’apprezzamento maschile. L’arte occidentale rinascimentale ci offre dei vividi esempi con i quadri ad olio di nudi femminili. Le donne, in questo contesto, diventano dei siti e degli oggetti sui quali si poggia lo sguardo del ritrattista. Le donne semplicemente appaiono e vengono sempre definite da altri.

Si può dire che Sherman si sia sempre più ritagliata degli spazi autonomi all’interno della nostra cultura visiva dominante, maschile e voyeurista. La sua è una pratica fotografica che si riappropria di quell’assenza di corpi femminili in quanto soggetti attivi.

Sherman assume sia il ruolo di oggetto che di soggetto delle sue rappresentazioni. La sua prospettiva è quella solitamente detenuta da figure maschili. L’intento è proprio quello di indebolirla, svelandone la natura iper- fittizia.

La femminilità come maschera ed imitazione nelle opere di Cindy Sherman

La produzione artistica di Sherman è per lo più costituita da autoritratti in cui l’artista si maschera in personaggi legati alle ossessioni e fantasie sessuali di una società chiaramente maschilista. 

Queste maschere si evolvono di continuo: dalla casalinga hollywoodiana alla top model, dalla Valley Girl alla pin-up girl, fino alla business woman e la segretaria. 

Pertanto, il corpo di Sherman non diventa mai veramente un territorio manipolabile dal male gaze che sessualizza e riduce le donne a oggetto di piacere.

La ricezione critica: sovversione o consolidamento del male gaze?

Il lavoro di Sherman non è stato immediatamente compreso e ben recepito. 

Le critiche del tempo riguardavano soprattutto il modo in cui faceva sentire gli osservatori: dei voyeurs con una posizione dominante rispetto alle donne rappresentate. Più in generale, le critiche le arrivarono per aver messo in scena, quasi con intento celebrativo, gli stereotipi femminili e di rinforzare i rapporti di potere, a favore degli uomini.

Stereotipo individuato e distrutto

L’artista ha dichiarato più volte che il suo vero intento è di provocare disagio – specificatamente nel pubblico maschile – e di riassestare i pregiudizi nei confronti delle raffigurazioni fotografiche femminili. 

Sherman utilizza il proprio corpo come veicolo espressivo per impersonificare e riappropriarsi di ruoli femminili mai fissati una volta per tutte. Non si lascia mai inchiodare tanto facilmente dall’occhio della fotocamera, e dunque, dallo sguardo di un regista, fotografo o voyeur.

L’artista-soggetto non guarda propriamente dentro l’obiettivo fotografico. Il suo sguardo è volto verso un punto esterno al campo. Così, rimarca che non vuole e non può essere assoggettata. 

Oltre l’immagine fotografica

L’artista americano Robert Longo, anche egli membro della Pictures Generation oltre che grande amico di Sherman, ribadisce un punto interessante delle fotografie di questa artista:

Robert Longo

“What’s so great about her pictures is that there’re not so much about what you look at, but they’re also about what happened before and what happens after. “

Sherman ci propone dei “tipi” e delle immagini fittizie – non basate su film o vicende specifici – ma sorge comunque naturale chiedersi cosa stia succedendo nei frammenti fotografici. Rispetto ai soggetti femminili rappresentati, perché ci sentiamo dei voyeurs? Cosa mai sarà capitato a queste donne? Qualcuno le sta cercando? Perché appaiono ammutolite, fragili, ma anche erotiche?

Un salto nella scena hip hop femminile americana

Un altro movimento della cultura popolare che è da sempre responsabile di diffondere e di sedimentare immagini femminili iper-sessualizzate e passive, è sicuramente quello dell’hip hop. L’hip hop – che comprende il rapping, il DJing, il breaking e il graffitismo – è nato agli inizi degli anni ’70 nel South Bronx newyorkese. Anch’esso è figlio dello spirito postmoderno, nutrendosi soprattutto del campionamento di brani, beat, bassline di vecchi dischi.

Dai suoi inizi fino ad oggi, nei video musicali di influenti rapper maschili, i corpi delle donne (soprattutto nere) vengono inseriti e trattati come degli oggetti di scena e dei meri accessori di piacere, facilmente sostituibili e replicabili in serie.

Sull’attuale scena hip hop femminile in America si affacciano delle figure di rapper interessanti e che sfidano esplicitamente i linguaggi fallocentrici che dominano questa cultura. Per le tematiche che affrontano – la rappresentazione e l’oggettificazione dei corpi femminili, assieme agli squilibri di potere nei rapporti di genere – si può tracciare un collegamento con i “giochi” di maschere femminili di Sherman.

Megan Thee Stallion

Tra le rapper americane più famose del momento, spicca Megan Thee Stallion. Con le sue barre pungenti e sessualmente esplicite, la rapper di Houston ci offre dei chiari esempi di riappropriazione femminista di codici narrativi fallocentrici. Nella canzone “Savage”, la cantante nega l’immobilità dell’identità femminile. Ci fa capire come la sua personalità non possa essere facilmente incatenata ad una definizione, piuttosto rivendica per sé la possibilità che possano coesistere in lei diverse identità7, in diversi spazi. 

In “Freak Nasty“, si cala in prima persona in alcuni immaginari pornografici assai comuni, come il “pizza delivery guy” e la donna delle pulizie. Riesce a riappropriarsene, slegando questi stereotipi visivi dall’assunto che siano indicatori di disponibilità sessuale. La sua sfida è rivolta principalmente ad un pubblico etero, maschilista e bigotto che ignora il fatto che le donne possano godere della propria sessualità semplicemente perché è il loro diritto farlo. 

Princess Nokia

L’artista newyorkese è capace di rimescolare le carte dell’Hip Hop, creandosi degli spazi musicali e sociali in cui possa esistere in quanto soggetto artistico e donna. Le sue canzoni sono spesso dei manifesti alle plurime identità che la compongono: nerd, adolescente degli anni ‘90, skater, tomboy, rave girl, goth, bruja. Non si tratta di contraddizioni, bensì di punti di forza e di ricchezza della sua identità.

Gif estratta dalla canzone “Tomboy” di Princess Nokia. Courtesy di Princess Nokia.

In riferimento al ruolo delle donne nell’hip hop, Princess Nokia si pronuncia:

 Women are over-glorified and overly sexualized. Women are regarded as objects. 

Nei propri video, la rapper è quasi sempre accompagnata dalla sua cerchia di amiche. Emergono così delle potenti immagini di sisterhood (come nel brano “Brujas”), soppiantando la rappresentazione di donne come oggetti sessuali accessori.

Nicki Minaj

Nicki Minaj, rapper originaria dell’isola di Trinidad ma con base in America, è stata anche più direttamente accostata alla figura di Sherman in un articolo del New York Times. Negli anni ha assunto le sembianze dei personaggi più disparati: Barbie, Marilyn Monroe, Chaka Khan, Mickey Mouse, Hermione e la più anonima (e sexy) donna delle pulizie.

Nicki si mimetizza in queste identità sempre fluide, celebrando la pluralità sulla singolarità. Cerca di stordire lo sguardo maschile che tenderebbe invece a fossilizzare le donne in categorie immutabili. Al contempo, si riappropria di spazi in cui possa manifestare liberamente la propria sessualità ed identità di donna nera. Nei suoi video musicali, Nicki e le altre ballerine si muovono per loro stesse e non cercano di guadagnarsi l’attenzione maschile (come nella canzone “Anaconda“). In realtà, i riferimenti visivi sessuali così espliciti e stereotipati sono usati solo come esca. In fin dei conti, lo stereotipo è messo in scena per la sua stessa eliminazione.

Gif estratta dalla canzone “Anaconda” di Nicki Minaj. Courtesy di Nicki Minaj.

Si può concludere con una frase pronunciata da Sherman in riferimento ai suoi “Film Stills”:

My ‘stills’ were about the fakeness of role-playing, as well as contempt for the domineering ‘male’ audience who would mistakenly read the images as sexy.

Bianca Spinelli per ArtAut.com

  1. Oltre a Cindy Sherman, il gruppo della Pictures Generation era composto dai seguenti artisti: Richard Prince, Sarah Charlesworth, Jack Goldstein, Barbara Kruger, Louise Lawler, Sherrie Levine, David Salle e Laurie Simmons ↩︎
  2. La mostra non figurava ancora il gruppo al completo. In quest’occasione si vedevano i lavori di Troy Brauntuch, Jack Goldstein, Sherrie Levine e Robert Longo. ↩︎
  3. Nel catalogo della mostra del 1977, Crimp stressa il fatto che gli artisti della Pictures Generation non si cimentavano nella solita questione della “representation” (rappresentazione), piuttosto con quella della “re-presentation”. Quest’ultima allude più alla presentazione di immagini di massa, arricchite di nuovi contesti e significati. ↩︎
  4. “Postmodernism, or, the Cultural Logic of Late Capitalism”, 1991. ↩︎
  5. Alcuni esempi emblematici si ritrovano nella produzione di Alfred Hitchcock (da “Vertigo” a “Rear Window”) e di Tay Garnett (“The Postman Always Rings Twice”). ↩︎
  6. Mulvey parla di “scopofilia”, ovvero il piacere sessuale coinvolto nel guardare. ↩︎
  7. Il ritornello della canzone recita:
    “I’m a savage
    Classy, bougie, ratchet
    Sassy, moody, nasty.”
    ↩︎

Bibliografia e sitografia

https://www.moma.org/artists/5392

https://www.moma.org/magazine/articles/607

https://www.moma.org/momaorg/shared/pdfs/docs/learn/courses/Respini_Will_the_Real_Cindy_Sherman_Please_Stand_Up.pdf

https://womenartists-flul.blogspot.com/2015/05/cindy-sherman-and-deconstruction-of.html

https://en.wikipedia.org/wiki/Male_gaze#:~:text=In%20feminist%20theory%2C%20the%20male,of%20the%20heterosexual%20male%20viewer.

https://www.newyorker.com/books/second-read/the-invention-of-the-male-gaze

Douglas Crimp, Pictures, 1979.

Azra Rajah, I’m a “Savage”: Exploring Megan Thee Stallion’s Use of the Politics of Articulation to Subvert the Androcentric Discourses of Women in Hip Hop Culture, 2022.

https://www.cate-young.com/battymamzelle/2015/08/MileyWhatsGood-Nicki-Minaj-Destorys-The-Male-Gaze-Via-Overt-Sexual-Expression.html-695sn-ky267-ss88s-w57xz-5p7pa-799f7-fe6gd-zbkcc-lyzjf-y23yf-nx9lh-lcenm-xbjkn-mpw6k

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