Arte Contemporanea Mostre

Convergenze tra arte e scienza: esplorando i possibili futuri

A Bologna apre Near+Futures+Quasi+Worlds, una mostra atta ad esplorare le possibilità sugli sviluppi futuri della nostra società attraverso le convergenze tra tecnologia, arte e scienza.

La nascita del progetto

La mostra nasce dall’iniziativa S+T+Arts del 2015 promossa dalla Commissione Europea. Il progetto vuole promuovere la collaborazione tra arte, scienza e tecnologia. Da questa iniziativa nasce la mostra itinerante Near+Futures+Quasi+Worlds, partita da Berlino e approdata a Bologna.

Near+Futures+Quasi+Worlds tra arte e scienza

La mostra intende esplorare i futuri possibili, al plurale, perché dalla convergenza tra arte, scienza e tecnologia è possibile ipotizzare diversi futuri. Si procede con l’analisi della contemporaneità con i suoi tumulti politici e sociali. Non mancano le tematiche sull’ambientalismo e sugli sviluppi di una società più equa.

Nella mostra si intravede l’ambivalenza della tecnologia e di come possa essere un motore positivo nella creazione di società sensibili alle tematiche più care dei nostri tempi, oppure una minaccia per la società.

Le 13 opere in mostra che esplorano arte e scienza

Le opere sono state scelte da un’ampia rete di collaborazioni, partendo dai premi annuali e programmi S+T+ARTS come Vertigo Residency, Lighthouse Pilots, ReFREAM e MindSpaces.

Manuel Cirauqui, Curatore del Guggenheim Museum di Bilbao per Near+Futures+Quasi+Worlds

Il progetto è stato curato da una delle figure più importanti del sistema dell’arte, infatti è Manuel Cirauqui, curatore del Giggenheim di Bilbao, a curare la mostra. Egli ha scelto tra un vasto numero di opere che analizzano in maniera variegata il tema della mostra, creando un file rouge che connette le opere.

L’esposizione, per quanto grandiosa nei contenuti, è stata curata in maniera superficiale. Lo spettatore è lasciato a sè stesso senza una guida per capire le opere così enigmatiche e complesse, eppure tanto vicine alla nostra realtà.

Le spiegazioni sono state affidate a un codice QR visibile sui pavimenti, in linea con l’idea futuristica della mostra.

Artisti e opere in mostra che esplorano le convergenze tra arte e scienza

Iris Van Herpen e la moda del futuro

Entrando nella mostra veniamo accolti da un ambiente oscuro con highlights sulle opere. All’entrata troviamo sospesi un manichino e una teca in vetro che ospitano le opere della fashion designer Iris Van Herpen. L’artista è famosa a livello internazionale per per l’utilizzo pioneristico della stampante 3D per la creazione dei suoi capi futuristici.

Magnetic Motion

Il vestito e le scarpe in mostra fanno parte della collezione Magnetic Motion del 2015 che è stata premiata nel 2015 con lo S+T+ARTS prize nella categoria Ricerca Artistica.

L’ispirazione per questi capi “fluttuanti”, in particolare il vestito, anch’esso esposto in mostra in maniera leggiadra traverso dei fili di nylon che lo sospendono nel vuoto, derivano dalla visita dell’artista al CERN al Large Hadron Collider.

Quí è stato creato un campo magnetico che supera di ventimila volte quello della terra. Possiamo vedere nei capi di abbigliamento come essi siano stati costruiti per “contrastare” la forza di gravità. Il vestito, indossato dalle modelle che sfilano, si muove come in assenza di gravità grazie a lla forma reticolare costruita attraverso l’utilizzo di stampanti 3D.

Sembra una tuta spaziale alla moda, ponendo delle riflessioni su quello che potrebbe essere il vestiario del domani, magari su un altro pianeta con condizioni esistenziali differenti dalla Terra.

L’opera quantica di Evelina Domnitch e Dimitry Gelfand

Nella dark room sulla destra, nascosta dietro una tenda, troviamo una piccola opera degli artisti Evelina Domnitch e Dimitri Gelfand. Ci troviamo dinanzi una piccola opera fisica, o meglio, “opera quantica”. I due artisti sono famosi per le loro opere immersive che uniscono fisica, chimica e informatica inserendole in una retorica filosofica e distopica.

Gli artisti hanno collaborato con gruppi di ricerca nel campo della fisica quantistica come LIGO (Laser Interferometer Gravitational Wave Observatory), RySQ (Rydberg Quantum Simulator) e EU Quantum Flagship. Tra i numerosi premi ricevuti troviamo cinque menzioni d’onore Ars Electronica.

The Hilbert Hotel

Qiando entriamo nella dark room vediamo una piccola teca in vetro che contiene quattro anelli caricati magneticamente. Tra di essi fluttuano delle micro bolle di vetro cavo, anch’esse a caricate magneticamente, ma secondo una forza opposta. Le bolle sono letteralmente sospese e intrappolate nella gabbia ionica creata dagli anelli che si contendono ogni microsfera creano evoluzioni visive magnifiche.

Hilbert Hotel, 2020, è un’opera che fonde concetti matematici e fisici. Il nome dell’opera fa riferimento al paradosso matematico teorizzato dal matematico David Hilbert, il quale riflette sulle caratteristoche dell’infinito.

Hilbert immagina un hotel con infinite stanze, tutte occupate, e afferma che qualsiasi sia il numero infinito di nuovi ospiti che sopraggiungeranno, sarà sempre possibile ospitarli.

A propostio dell’opera, i due artisti hanno dichiarato:

“Come può un hotel completamente occupato accogliere continuamente un flusso infinito di nuovi ospiti? L’Hilbert Hotel è una trappola ionica curvilinea che fa levitare elettricamente una miriade di ospiti microscopici. Queste microsfere di vetro cavo fluttuano lungo orbite sorprendentemente quadrate, tracciando i
campi elettrici quadrupolari che le mantengono in volo.

Evelina Domnitch and Dmitry Gelfand

In un’era di esplorazione spaziale mai interrotta, le nozioni di universo e di inifinito iniziano a diventare concetti sempre più concreti, quasi come se l’odea degli Hyper Objects diventasse una realtà sempre più tangibile. Ci sarà sempre posto infinito in un contesto altrettanto infinito.

In un senso più terreno, è possbile fare altre riflessioni? In un mondo finito come il nostro, sarà possibile fare posto ad un numero altrettanto infinito di esseri viventi?

Ricordiamo le tragiche leggi della Cina sulla one child policy: per contrastare il problema della sovrappopolazione è stato dichiarato il limite legale di n. 1 figlio per famiglia. Questa politica così rigida è durata diversi decenni, èd è stata abolita solo nel nuovo secolo.

Le conseguenza sono state disastrose per la comunità cinese. In un globo ancora prettamente maschilista, le famiglie che ambivano a diventare genitori, preferivano avere un figlio unico maschio.

Questa legge, unita ai preconcetti culturali e sociali sul genere, ha portato ad aborti di massa di feti dichiarati di sesso femminile.

La riflessione sulla sovrappopolazione e sulla mancanza di risorse primarie, come l’aqua, è un discorso ambivalente. Da una parte stanno diminuendo le nascite di nuovi esseri umani nei paesi occidentali, dall’altra, le risorse primarie rimangono comunque inaccessibili ad una grande fetta della popolazione mondiale.

L’infinita processione di infinite bolle di vetro dell’opera in mostra mostra questo continuo scambio di spazio in moti circolari, portando le bolle, o la società, in un ciclo infinito di punti di partenza e mai fine. Si reincontrano gli stessi esseri nello stesso spazio, portandoci a riflettere anche sul senso comunitario.

So Kanno e l’arte meccanica di Senseless Drawing Bot

In un’era che sempre più si affida alla meccanicità per svolgere gesti quotidiani, dal lavoro al caffè a casa, in mostra in poteva mancare l’opera robotica dell’artista giapponese So Kanno.

Senseless Drawing Bot è un robot costituito da elementi semplici: uno skateboard, due pesi di mattone, e un doppio braccio meccanico disarticolato al quale è stato applicato all’estremità una bomboletta spray colorata. Il robot si muove secondo un senso motorio binario, destra-sinistra, disegnando sulle pareti dei graffiti automatici. Ci troviamo davanti un’opera d’arte creata da un robot, senza l’ausilio umano. L’artista si è limitato nel “costruire l’artista”, il quale, con i suoi movimenti casuali e meccanici, disegna forme astratte sulla tela.

Anche il graffito, che storicamente è sempre stato legato alla rivalsa identitaria di singoli individui, ovvero i Writers che si firmavano su treni e muro della città, adesso vengono sostituiti da un’identità artificiale.

Sfortunatamente il robot non sarà presente in mostra perché impegnato in un “tour mondiale” in diverse mostre e musei per presentare le sue estemporanee robotiche. Saranno invece presenti un video esplicativo del robot, e una sua opera d’arte robotica inedita.

Quali prospettive per l’arte nell’era tecnologica?

La riflessione sull’arte e la tecnologia viene portata avanti ormai da quasi un secolo. A partire dall’invenzione della fotografia, che si proponeva di sostituire il dipinto, adesso quali potranno essere i successivi sviluppi dell’arte in una società che sempre di più si affida alle tecnologie e all’intelligenza artificiale? L’arte umana diventerà presto anacronistica?

Senseless ddrawing bot è uno degli esempi di arte realizzata da una macchina. Ad oggi esistono sul mercato vere e proprie opere d’arte generate in forma digitale da un’intelligenza artificiale. Mentre l’opera in mostra è in sé un’opera che crea arte, l’AI è un prodotto scientifico al quale “è stato richiesto” di creare un’opera d’arte.

Si tratta di una sottile differenza che in sé contiene molte molte riflessioni epistemologico sull’arte, l’uomo, e dell’esigenza di creare.

Egor Kraft tra archeologia e Intelligenza Artificiale tra arte e scienza

La tecnologia si fa strada non solo nell’arte contemporanea, ma anche in quell’arte archeologica così tanto distante nel tempo.

Il lavoro di Egor Kraft nella serie Content Aware Studies del 2019, converge l’archeologia classica e AI. Prende come punto di partenza delle statue greche rovinate dal tempo, collaborando con data scientist dello Strelka Institute e dell’università del Southampton, avvantaggiandosi dell’intelligenza artificiale come pratica filosofica, estetica e di ricerca attraverso le reti neurali di intelligenze artificiali.

Classico e tecnologico

Le macchine, attraverso l’apprendimento, cercano di ricostruire i volti delle antiche statue dando origine ad artistiche ed inusuali soluzioni visive. In mostra potremo vedere tre statue classiche con l’applicazione di ricostruzioni in plastica che vanno a “riempire” le parti rovinate delle statue. Possiamo inoltre vedere in uno schermo un video che ci mostra come l’intelligenza artificiale ha lavorato nella risoluzione del problema attraverso l’apprendimento continuo dei dati.

I volti di marmo vanno incontro a una costatnte metamorfosi alla ricerca della forma migliore e più adatta secondo un’intelligenza artificiale, che poco sa sull’uomo ma che cerca di ricostruire la forma più adatta all’esistenza attraverso l’apprendimento continuo prendendo come base di partenza i dati derivanti dalle statue stesse.

Questo processo ricorda la nostra società, sempre più tesa al miglioramento dell’uomo e della sua efficienza. Medicina, scienza, ma anche chirurgia si fondono nelle nostre vite per renderci “migliori” di noi stessi. L’intelligenza artificiale dell’opera di Egor Kraft sembra riflettere proprio sulla nostra società la quale tramite sperimentiazioni, errori e tentativi, vuole arrivare alla soluzione migliore per risolvere il problema dell’esistenza.

Ralf Baecker e la riflessione sociale attraverso il moto binario di Putting the Pieces Back Together Again, 2018, esplorando arte e scienza

Ralf Baecker ha studiato informatica e Media Art all’Accademy of Media Arts di Colonia. Nel 2016 ha insegnato Progettazione Sperimentale delle Nuove Tecnologie nel programma Digital Media. Da allora la sua ricerca artistica e tecnologia non si è mai fermata ricevendo numerosi premi a livello internazionale. Alla mostra Near+Futures+Quasi+Worlds partecipa esibendo un suo lavoro del 2018, Putting the Pieces Back Together Again.

L’opera si presenta come un enorme pannello nero sui quali agiscono oltre un centinaio di elementi meccanici, dei “braccetti”, che si muovono in senso binario oriario-anti orario. I braccetti meccanici sono ultra sensibili al tatto e creando infiniti moti e pattern di movimenti unici e irripetibili attraverso la loro interazione.

La ricerca del lavoro è stata complessa e articolata. L’artista è partito sperimentando l’opera attraverso una simulazione digitale, creando poi dei prototipi di piccole dimensioni, fino a creare un pannello di grandi dimensioni.

La parte curiosa della ricerca risiede nel sistema inormatico di simulazione, il quale non a veva previsto quelle che sono le complessità di un sitema “imperfetto”. Infatti nella simulazione non era prevsto l’errore meccanico e “umano”, come la rottura di un bracetto.

L’opera necessita una continua manutenzione affidata al “deus ex machina”, in poche parole sono gli addetti di sala che intervengono quotidianamente sostituendo i pezzi mancanti caduti o rotti dando la possibilità di far funzionare l’intero meccanismo.

Strumenti tecnologici come mezzi epistemologici

L’opera si pone come uno strumento epistemologico grazie al quale si possono osservare all’infinito dinamiche di organizzazione non gerarchiche e collettive.

Dunque, per quanto l’opera si presenti come puramente meccanica, essa riflette sui sistemi sociali di interconnessione umana. Possiamo vedere come il moto dei braccetti si possa bloccare creando pattern imprevedibili e casuali, che si sbloccheranno in automatico in un momento indefinito.

Possiamo vedere nell’opera di Baecker un sistema sociale che unisce tutti i pezzi: se un solo pezzo si blocca, l’intero sistema entra in tilt. Si tratta di un’opera di grande attualità, possiamo vedere come lo stesso schema si è ripetuto durante la pandemia da Covid19 oppure nella guerra tra Ukraina e Russia. In un mondo globalizzato come il nostro gli effetti a catena sono inevitabili, quando una parte del mondo si blocca, a livello economico o politico, l’intero globo inizia risentirne.

Eppure Putting The Pieces Back Together Again mostra anche un aspetto positivo e di speranza rispetto al futuro, perchè il sistema, prima o poi, si sbloccherà sempre.

Refik Anadol e la possibilità di rendere visibile il pensiero umano tra arte e scienza

Refik Anadol, come tutti gli altri artisti e gruppi in mostra, non lavora in autonomia, ma in stretta collaborazione con laboratori scientifici e di ricerca. In particolare, il lavoro esposto Melting Memories, fa parte di una serie di opere realizzate assieme il Neuroscape Laboratory dell’Università della California, un centro di neuroscienze specializzato nell’applicazione di tecnologie sullo studio delle funzioni cerebrali.

Attraverso la raccolta di dati tramite eltrroencefalografia, l’artista elabora tali dati in un codice visivo. Il risultato è una resa visiva delle attività cerebrali, ponendo una riflessione sulla materialità dei ricordi e sul decadimento cognitivo, adesso resi visibile in opere digitali tra l’astratto e il movimento, ovvero il pensiero umano.

La raccolta di opere digitali dell’artista sono tra le opere pioniere nel mondo degli NFT, la nuova valutazione di opere d’arte nel mondo digitale contemporaneo.

Fèlicie d’Estienne d’Orves e l’osservazione del pianeta da conquistare: La meterologia di Marte

Nella riflessione sui possibili futuri, non può mancare una riflessione sul pianeta rosso. Marte, negli utlimissimi anni, è dventato oggetto di studio e di interesse da parte di scienziati e milionari come Elon Musk.

Dopo il lavoro sulle neuroscienze appena analizzato, veniamo attratti dal lavoro di Fèlicie d’Estienne d’Orves, ovvero dei pannelli illuminati, apperentemente in maniera casuale, di una parzione geografica. Scopriamo che questi due panneli non sono nient’altro che una rappresentazione in 3d di due porzioni di terra del pianeta Marte, e che la luce che vediamo non è assolutamene casuale.

Il tramonto su Marte

Martian Sun Rises, questo il nome dell’opera, ci invita ad ammirare i tramonti di un pianeta lontano che tanto ci sta appassionando grazie ai recenti progetti spaziali. I due pannelli fanno parte di una grande ricerca dell’artista in collabrazione con LMD (Laboratoire de Mèterologie Dynamique) di Parigi.

I due pannelli in mostra ricevono in tempo reale dati da parte del centro meterologico che analizza Marte, modificando di volta in volta l’intenstà e la posizione della luce a led che si sposta lungo i bordi della cornice, seguendo direttamente l’intensità la posizione della luce solare solare su Marte.

La tecnologia ci sta permettendo di vedere da “remoto” il meteo di un pianeta lontano, il quale, un giorno non troppo lontano, potrebbe diventare la casa di quelli che potremmo definire ex-terrestri, o neo-marziani.

Etsuko Yakushimaru e l’arte per le future civilizzazioni… e per gli alieni

Etsuko Yakushimaru è una musicista, cantante, produttrice, e artsta visiva giapponese. La sua arte è caratterizzata dall’interdisciplinarietà. Assieme al suo gruppo musicale Sotaisei Riron produce musica pop e sperimentale. In mostra vediamo la sua canzone I’m Humanity, prodotta nel 2018.

Cos’ha di speciale questa canzone? Essa è la prima canzone della storia della musica, e dell’umanità, ad essere stata pubblicata come microrganismo geneticamente modificato.

In collaborazione con un lbratorio di biotecnologie ha convertito la sua canzone in un codice genetico per creare una sequenza di DNA. Questo DNA è stato incorporato nei cromosomi di un microrganismo, in particolare un batterio longevo, molto resistente a possibili radiazioni o temperature estreme.

La testimonianza della nostra esistenza

Ne segue la possibilità di mantenere in un microrganismo la traccia della nostra esistenza, e della nostra musica, anche dopo la nostra estinzione. L’artista ha creato una sorta di “capsula del tempo” biologica della nostra esistenza e della nostra arte.

Cos’altro sarà possobile codificare e inserire in un microrganismo resitente, che potrà comunicare la nostra storia alle future civilizzazioni, o addiritutta agli alieni?

La canzone stessa parla di un’umanità scomparsa, parla di estinzione, delle montagne e dei mari che oggi possiamo vedere, tutto andato via a causa di un estinzione di massa causata dall’uomo stesso.

Julia Koerner e la moda del futuro

Julia Koerner, nella sua carriera esplora le convergenze tra architettura, design del prodotto e fashion design utilizzando in maniera innovatva la tecnologia della stampa 3D. Nell’ambito del fashion design ha vinto l’Oscar per il miglior costume per Black Panter della Marvel. Le sue opere sono state esposte nei maggiori musei come il Metropolitan Museum of Art di New York e il Philadephia Museum of Art.

Dalla falena del Madagascar al vestiario alieno

In mostra possiamo vedere alcuni esempi delle sue ispirazioni a partire dal dato della natura. Nell’esposizione a lei dedicata vediamo l’intero processo di creazione partendo dall’analisi dei colori e delle forme di una falena proveniente dal Madagascar, l’Urania. Le ali vengono scansionate, magnificate nel dettaglio, e tradotte in un pattern che poi viene stampato direttamente sul tessuto per creare capi di moda futuristici e alieni. Nella teca possiamo vedere altri esempi di pattern stampati in 3D che richiamano i colori e le forme della natura.

Forensic Architecture

Nella sala laterale, salendo lungo la rampa, entriamo in un altro spazio oscuro nel quale vediamo la proiezione del lavoro svolto da Forensic Architecture, un gruppo di ricerca dell’università di Londra, atto ad indagare su casi di violenza di stato e violazione dei diritti umani.

Impiega tecniche all’avanguardia nell’analisi spaziale e architettonica e tecnologie immersive. Queste ricerche sono sate utili nei tribunali come prove o nelle inchieste parlamentari.

L’omicidio di Pavloss Fyssas

In mostra troviamo l’indagine sull’omicidio del rapper anti fascista Pavloss Fyssas. Vediamo le analisi sul caso di un crimine politico avvenuto nel 2013 che segnato la storia recente della Grecia. Forensic Architecture ha raccolto prove e ricostruito le ultime ore di vita della vittima, prove che sono state presentate durante il processo. Alla fine delle indagini si è rivelato che i mandanti dell’omicidio furono i membri appartenenti al partiti nazifascista Alba Dorata, dichiarato successivamente antidemocratico. Ciò che ha più scandalizza l’opinione pubblica è stato anche il coinvolgimento diretto delle forze dell’ordine.

Kasia Molga e Scanner: musica ambient partendo dal micro-ambiente

L’ultima opera in mostra è il frutto della collaborazione tra arte e musica. Kasia Molga lavora convergendo scienza, performance creando spazi immersivi che ci fanno riflettere su come la tecnologia possa influenzare la nostra comprensione dell’ambiente naturale. Kasia Molga collabora assieme a Robin Rimbaud aka Scanner, compositore di musica elettronica sperimentale acclamato dalla critica per la sua opera innovativa.

Il nome dell’opera è By the Code of Soil: (de) Compositions. Entrando nella camera oscura che ospita l’opera possiamo intra-vedere un blocco di plexiglass fiocamente illuminato da dei led rossi, un forte odore di fondi di caffè e dei suoni-rumori proveneniti da due casse poste ai lati della stanza.

L’opera è il risultato della residenza intrapresa da Molga presso GROW Observatory, un progetto di ricerca che mira a monitorare l’ambiente a livello planetario.

Cosa contiene il blocco in plexiglass?

Ci troviamo dinanzi un vero e proprio ecosistema vivente di lombrichi che vivono all’interno della terra all’interno della cassa. Possiamo vedere le varie stratificazioni del terriccio, tra cui anche il fondo di caffe, dal quale deriva il forte odore nella stanza. I lombrichi scavano nella terra creando una “mappa” della loro nuova casa. Sopra il blocco notiamo non solo le luci rosse, unica fonte di luce concessa per non turbare i lombrichi che soffrono la luce diretta, ma anche dei cavi connessi alle casse.

Mentre Kasia Molga si è occupata della “parte visiva” dellìopera, Scanner si è occupato dell’audio. Infatti i cavi connessi alle casse non sono altro che microfoni che registrano in tempo reale i rumori emessi dai lombrichi, i quali, semplicemente, fanno la loro vita. I rumori del lombrico che scava, mangia, e adempie tutte le sue funzioni vitali, vengono tradotte in un codice sonoro emesso dalle casse.

Ci immergiamo in un ambiente sonoro in tempo reale prodotto dal micro-eco-sistema dei lombrici che producono musica “live” convergendo suoni naturali e artificiali.

L’intera opera è un processo in divenire, i lombrichi scavando modificano la forma del suolo modellando attivamente la terra, e attraverso il movimento creano la musica.

Questioni etiche personali

Per quanto affascinante possa essere l’opera in sè, la mia componente animalista si preoccupa della salute dei lombrichi in mostra. Mi conforta sapere che gli operatori di sala si stiano occupando personalmente di cibare ogni giorno i lombrichi con bucce di banana.

Rimane domanda: cosa ne sarà dei poveri lombrichi? Non si tratta di un’accusa rivolta direttamente agli artisti, ma a tutto il mondo dell’arte che spesso utilizza gli animali e gli esseri viventi per esprimere concetti sulla biodiversità e per riflettere sulla natura, violandola contemporaneamente.

Mi ritengo personalmente molto sensibile alla crudeltà, infatti ho provato la stessa sensazione di dispiacere per un lavoro di Ian Cheng presente alla Biennale di Venezia del 2019, basato sull’intelligenza artificiale. Vedere un’intelligenza artificiale sotto forma di videogioco “auto-giocato” mi è dispiaciuto perché ho visto un’entità astratta rinchiusa in un sistema dal quale non può fuggire.

Stessa sensazione che ho provato per i poveri lombrichi in Near+Futures+Quasi+Worlds, che però sono reali.

Silvia Giaquinta per ArtAut.com

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