Oggi andremo ad analizzare un’artista che ha rivoluzionato il significato della Performance nel campo dell’Arte Contemporanea: Marina Abramovic.
“La risposta al perchè non ci sono state grandi donne artiste non risiede nella natura del genio individuale o nella mancanza di esso, ma piuttosto nella natura di una data istituzione sociale e di quello che ha negato o incoraggiato in diverse classi o gruppi di individui”
Linda Nochlin, Why Have There Been No Great Women Artists?, 1971

Autodefinitasi la “nonna della Performance Art”, Marina Abramovic ha reso popolare questo fenomeno artistico, la Performance Art, della quale possiamo riconoscere le prime espressioni a partire dagli inizi del 1900 in Italia con il movimento avanguardista Futurista, e successivamente anche in Svizzera con il Dadaismo.
Cos’è la Performance Art?
Tra le prime storiche dell’Arte che hanno riconosciuto il valore della Performance Art c’è Roselee Goldberg. Nel suo libro del 1979 Seventies’ Performance: To be with Art is All we Ask, definisce la Performance Art degli anni ‘60 nel seguente modo:
“la Performance art negli ultimi due anni degli anni ‘60 e dei primi anni ‘70 riflette il rifiuto dell’arte concettuale dei materiali tradizionali come la tela, il pennello o lo scalpello, con performance che fanno diventare il corpo stesso un mezzo d’arte, come Klein e Manzoni hanno fatto alcuni anni prima. Così come l’arte concettuale implica l’esperienza del tempo, dello spazio e della materia, più della loro rappresentazione nella forma di oggetti, così il corpo diviene il medium espressivo più diretto. Dunque, la Performance è il modo ideale per materializzare concetti artistici, e come tali, la pratica di essa corrisponde a molte di queste teorie”
-Roselee Goldberg, Seventies’ Performance: To be with Art is All we Ask, 1979
La performance art cancella ogni paradigma dei classici medium e si concentra sull’evento, hic et nunc, di una determinata azione artistica messa in atto tramite il corpo dell’artista. È l’essere umano che diventa il medium ideale per poter fare esperienza dell’arte che si svolge davanti ai nostri occhi. Un evento unico, nel quale anche la presenza e l’intervento dello spettatore diventa parte integrante e fondamentale dell’opera d’arte.
Chi è Marina Abramovic

Nasce a Belgrado, in Serbia, il 30 novembre 1946. Suo padre Vojin Abramović, eroe di guerra, e sua madre Danica Abramović, maggiore dell’esercito, sono stati partigiani della Seconda Guerra Mondiale.
L’origine militaresca della sua famiglia sarà di grande impatto, evidente nella disciplina nelle sue performance, tese a superare i limiti del corpo e della mente. La sua preparazione artistica inizia nel 1965, presso l’Accademia di Belle Arti di Belgrado, nella quale studierà per sette anni.
Marina Abramovic insegnante
A partire dal 1973 insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Novi Sad, dove inizia a sperimentare le prime forme di performance. Nel 1976 si trasferisce ad Amsterdam. Nello stesso anno inizierà a collaborare con Ulay, artista tedesco, recentemente scomparso, diventato famoso grazie alle estreme performance messe in atto assieme a Marina. Essi avranno una lunga e intensa relazione artistica e amorosa, conclusasi nel 1988.

La fine della loro relazione è sancita dalla loro ultima performance assieme The Lovers: Ulay e Marina decidono di percorrere la Muraglia Cinese partendo dai due estremi opposti, incontrandosi al centro di essa, sancendo così la fine definitiva di un lungo cammino di arte e di amore. Nel 2010 Marina chiederà, a distanza di circa vent’anni, a Ulay di partecipare alla sua performance The Artist is Present.

Ulay si ritira dal mondo dell’arte, ma Marina continuerà a esplorare in solitaria le possibilità del corpo e della persona in quanto artista. La sua carriera è costellata di opere sconvolgenti e riconoscimenti. Nel 1997 riceverà il Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Marina Abramovic si trasferirà negli Stati Uniti, a New York, dove continuerà la sua carriera artistica.
Marina Abramovic in Italia
Rhythm 0, 1974 – Napoli

Marina approda in Italia nel 1974 a Napoli. Presso lo Studio Morra metterà in scena una Performance “interattiva”. Sconvolgerà il pubblico e la critica a causa degli avvenimenti accaduti all’interno dello studio, dove la vita e l’incolumità dell’artista sono state messe a rischio.
la performance
La performance consisteva nell’assoluta passività dell’artista che, per un tempo determinato, sei ore, sarebbe dovuta rimanere immobile, mentre il pubblico era invitato a utilizzare su di lei una serie di oggetti disposti su un tavolo. Erano oggetti di vario tipo: cibo, vino, utensili variegati come una torcia, corde, coltelli, forbici, una pistola carica.
Il pubblico era libero compiere azioni che nella vita quotidiana normalmente non compirebbero: alcune persone iniziarono a cibarla con dell’uva, darle da bere. L’audience si rese conto che l’artista non avrebbe reagito, che il corpo della donna dinanzi a loro sarebbe rimasto inerte per tutta la durata della performance.
La reazione del pubblico
È curioso vedere gli sviluppi degli eventi, quando il pubblico comincia a rendersi conto che possono avere il totale controllo di una persona. Le azioni compiute su Marina diventarono di volta in volta più violente. Con delle lamette iniziarono a tagliare via i vestiti pezzo per pezzo, fino a lasciare la donna completamente nuda. Gli oggetti taglienti a disposizione vennero utilizzati per tagliare la sua carne, incredulamente uno spettatore iniziò a bere il suo sangue.

I limiti dell’essere umano
Il corpo della performer era diventato un modo per dar sfogo alle fantasie più violente di un pubblico arrivato al Morra Art Studio per assistere a un evento artistico, senza aspettarsi di dover diventare il carnefice, il complice di una violenza, o il difensore di una donna inerte. La Performance Art tende a eliminare il divario che c’è tra l’arte e la vita reale, facendo diventare gli spettatori responsabili in prima persona dell’evoluzione della scena che diventa realtà.
La performance divenne definitivamente pericolosa per la vita dell’artista quando una pistola venne posta alla tempia dell’artista con il suo stesso dito tenuto sul grilletto. Rhythm 0 ha dimostrato come l’arte possa avere il potere di far riflettere sulla natura dell’uomo, sulla sua violenza, sui suoi limiti, le sue fragilità e dipendenza dall’altro. Di far riflettere sui legami che vi sono tra la vita e la morte nelle relazioni tra gli esseri umani.
Imponderabilia, 1977 – Bologna Marina Abramovic

A Bologna, alla Galleria d’Arte Moderna, Marina Abramović, in collaborazione con Ulay, propone un’altra performance atta a provocare gli spettatori. Marina Abramović aveva numerosi contatti a Bologna con alcuni professori del corso universitario D.A.M.S.- discipline dell’Arte, della Musica, e dello Spettacolo.
A Bologna si svolgeva la “Performance Week”, promosso durante ArteFiera, un evento artistico che ha avuto sette edizioni tra il 1970 e il 1980. Artisti di tutto il mondo venivano invitati a proporre performance uniche. L’Abramović ha sempre posto riflessioni simili a Rhytm 0 , sulla vulnerabilità del corpo e di come esso possa provocare reazioni inaspettate quando si viene invitati a interagire. La nudità è un mezzo provocativo efficace per porre tali riflessioni e reazioni. Per la Performance Week di Bologna Marina e Ulay hanno messo in scena una performance all’entrata della galleria, letteralmente alle porte dell’entrata principale.

I due artisti, nudi, si sono posti uno di fronte all’altro , all’entrata della galleria. Come due militari di guardia, si fissano intensamente negli occhi senza perdere la concentrazione. Per accedere al museo il pubblico era forzatamente invitato a entrare dall’unica entrata a disposizione, costringendolo ad avere un contatto con i due corpi nudi.
La reazione del pubblico
Il contatto forzato con i due artisti provoca diverse reazioni psicologiche e fisiche da parte degli spettatori costretti a entrare a contatto con l’evento artistico. In questa performance possiamo trovare il paradosso dei limiti umani : la severità, la disciplina, al quale può essere sottoposto, e contemporaneamente, la vulnerabilità e il disagio della nudità.
Marina Abramovic a New York
Lo spettatore diventa protagonista: The artist is Present, 2010.

Marina Abramović durante la sua carriera è stata capace di esplorare e comunicare al pubblico il ruolo dell’artista come identità stessa della sua arte. L’artista, nella sua persona, incarna la rappresentazione vivente della Performance Art. Sono tante le persone che in sua presenza hanno avuto la sensazione di essere a contatto con un’opera d’arte, come se l’artista fosse uno sciamano dal potere che va oltre il museo.
Nel 2010 decise di organizzare la sua più grande retrospettiva nel MoMA di New York: The Artist is Present, letteralmente tradotto in “l’Artista è presente”. In questa grande retrospettiva ha dato spazio a giovani performer, i quali hanno messo in scena alcune sue performance emblematiche.
La preparazione prima delle performance
Prima della mostra , Marina Abramović, assieme il gruppo di giovani artisti, ha organizzato un ritiro spirituale in una casa nelle periferie di New York. L’obiettivo del ritiro era quello di preparare mentalmente e fisicamente gli artisti ad affrontare le performance. Attraverso la meditazione hanno fatto pratica per ottenere quel grado di disciplina necessario ad affrontare le sfide fisiche e psicologiche che li aspettavano alla mostra.
La connessione con il corpo e la mente, la nudità, la privazione e la concentrazione sono stati elementi fondamentali durante il ritiro. Nel frattempo Marina Abramović si preparava ad affrontare una nuova performance atta a coronare la sua retrospettiva al MoMa di New York.
La performance
The Artist is Present consiste nello stare seduta su una sedia, di fronte a un tavolo quadrato. Dall’altra parte del tavolo, a turno, il pubblico poteva sedersi di fronte a lei. Dopo alcuni giorni, si è deciso di togliere il tavolo che divideva artista e spettatore per eliminare ogni tipo di barriera fisica e mentale. La performance è durata in totale 736 ore distribuite in circa tre mesi per 8 ore al giorno.
La Performance prolungata dà la possibilità di eliminare il concetto del tempo; dilatando il tempo si crea un’estensione temporale nell’esibizione, portando a riflettere sui limiti temporali, e di come un’opera d’arte richieda tempo e dedizione per essere vissuta a pieno.
Ogni giorno, a fine performance, l’artista si alzava per disegnare su un muro una linea nera per conteggiare la durata, in giorni, della performance.
Le relazioni tra soggetto e oggetto si invertono
L’artista ha incontrato lo sguardo di migliaia di persone, ognuna di loro resa unica nella propria individualità, esplorata attraverso lo sguardo dell’artista.
Marina dedicava il suo sguardo ipnotico solo e unicamente allo spettatore, facendolo diventare il soggetto della sua attenzione e della sua performance: la comunicazione tra artista e persona passa solamente attraverso lo sguardo. Le reazioni del pubblico sono state disparate; alcune persone, vedendo che non accadeva nulla, decisero di alzarsi e andarsene dopo pochi minuti; altri rimasero seduti per più tempo scambiando uno sguardo severo e attento, altri iniziarono a ridere, e altri a piangere.
L’artista come opera d’arte
Quasi tutti gli spettatori e partecipanti alla performance hanno dichiarato di essersi sentiti profondamente toccati dalla presenza di Marina Abramović. Essi si sono sentiti amati e capiti attraverso il solo sguardo dell’artista. Tra una persona e l’altra Marina chiudeva gli occhi per dedicarsi alla nuova persona seduta dinanzi a lei. L’intenzione era quella di renderlo unico al suo sguardo, performando l’artista è presente per ogni sconosciuto dinanzi a lei.
Marina Abramovic e Ulay
Uno dei momenti più toccanti della Performance è stata la comparsa del vecchio compagno d’arte, Ulay; l’unico momento in cui Marina Abramović si è mossa, per unire le mani con il suo vecchio compagno, commuovendo il pubblico astante. Quando Ulay si è alzato, Marina ha chiuso gli occhi ancora lacrimosi, per concentrarsi e dedicarsi nuovamente a una nuova persona.
Qui il video dell’incontro tra Marina e Ulay in The Artist is Present
Marina stessa è rimasta sorpresa dal fatto che la sedia dinanzi a lei non sia mai stata vuota:
“Nessuno poteva immaginare che chiunque avrebbe preso il proprio tempo per sedersi ed essere coinvolto in questo mutuo scambio di sguardi con me… è stata una totale sorpresa vedere l’enorme esigenza degli esseri umani di avere un contatto”
Marina Abramović
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